All’udienza generale del 17 giugno 2020, il Papa ripercorre la vita di Mosè.
“Mosè – sottolinea Francesco ci sprona a pregare con il medesimo ardore di Gesù, a intercedere per il mondo, a ricordare che esso, nonostante tutte le sue fragilità, appartiene sempre a Dio”.
La Scrittura, ricorda il Papa, raffigura abitualmente Mosè “con le mani tese verso l’alto, verso Dio, quasi a far da ponte con la sua stessa persona tra cielo e terra”.
Perfino nei momenti più difficili, perfino nel giorno in cui il popolo ripudia Dio e lui stesso come guida per farsi un vitello d’oro, Mosè non se la sente di mettere da parte la sua gente.
È il mio popolo. È il tuo popolo. È il mio popolo.
Non rinnega Dio né il popolo. E dice a Dio: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… Altrimenti, cancellami dal tuo libro che hai scritto!» (Es 32,31-32). Mosè non baratta il popolo.
È il ponte, è l’intercessore. Ambedue, il popolo e Dio, e lui è in mezzo. Non vende la sua gente per far carriera. Non è un arrampicatore, è un intercessore: per la sua gente, per la sua carne, per la sua storia, per il suo popolo e per Dio che lo ha chiamato.
È il ponte.